André bussò.
“Oscar, sei sveglia?”
“Si André, entra pure”
André entrò e
le sorrise. Oscar ricambiò il sorriso e si rilassò. André
si sedette sul letto di Oscar.
“Oscar… io… io non posso crederci…
non posso credere che tu abbia davvero…”
“André è tutto
vero”
“Ma perché? Perché
non me l’hai detto subito?”
“André… io… ecco
vedi, non so il perché non te l’ho detto prima… forse perché,
perché speravo che non fosse così, che alla fine si sarebbe
tutto sistemato. Come tu sai già io sono una donna forte ma una
parte di me, una parte nuova, una parte che solo adesso conosco di me,
è diversa… dalla Oscar che conosci”.
André le sorrise teneramente
“No Oscar… quella non è un’altra Oscar. Quella è la donna
che io sono riuscito sempre a vedere, a proteggere. E’ la parte che tu
hai represso, quella che io… tempo fa… ecco… ”
Una rosa resta una rosa… pensarono
entrambi.
“André, io non so più
che fare… per la prima volta… ho… paura… mi sento… come… sperduta…” disse
abbassando la testa.
André teneramente la
alzò con un dito:
“No Oscar… tu non devi avere
paura… la mia Oscar non deve averne”
“Ma… André…”
“Shhh” le disse avvicinandosi…
sempre più vicino.
Si baciarono lentamente, senza
fretta, dolcemente. Si staccarono guardandosi negli occhi. Si abbracciarono
forte.
“Io ti amo Oscar… ti amerò
per sempre…”
“Anch’io André… con
tutto il cuore…”
André si staccò
da lei, a malincuore. Le carezzò il visto dandole un bacio sulla
fronte augurandole la buona notte e poi si allontanò piano verso
la porta.
Oscar lo trattenne per la manica
della camicia
“Perché non rimani qui?
Mi farai compagnia” disse indicando il maestoso letto a baldacchino drappeggiato
di una pesante stoffa rosso porpora.
André, la quale perplessità
e meraviglia erano arrivati ormai agli estremi, fece cenno di sì
e si sedette sul letto togliendosi gli stivali. Si mise sotto le coperte.
Oscar, un po’ turbata ma comunque felice, gli si avvicinò contro
abbracciandolo.
“Amore mio… ti farò
felice…”
“Si” disse lui dolcemente baciandole
le dita affusolate con le quali Oscar lo carezzava…
Si addormentarono l’uno abbracciato
all’altro.
Un fascio di luce filtrava dalla
finestra illuminando il volto di André. Oscar era rannicchiata accanto
a lui. Dormiva. Non poteva ancora credere a quello che era successo: lei
lo ricambiava, finalmente! Adesso che cosa avrebbero fatto? Adesso che…
adesso… la tristezza prese posto nel cuore dell’uomo quando ricordò.
Non era possibile, non era giusto che proprio adesso che avevano trovato
la felicità, lei… - non riusciva neanche a pensarlo - lei se ne
sarebbe andata via, la malattia l’avrebbe portata via per sempre, lontano
da lui. Al solo pensiero si sentì un peso di una tonnellata sul
cuore. La guardò: com’era bello il candore della sua pelle così
vicino alla sua, e i biondi riccioli ribelli sulla fronte. Dormiva di un
sonno tranquillo, regolare che non mostrava minimamente i segni della sua
salute.
Nel sonno Oscar si era voltata
dall’altro lato del letto: le braccia sul cuscino, il viso leggermente
voltato verso di lui; anche senza volerlo assumeva degli atteggiamenti
che mettevano in evidenza la sua indipendenza, anche in quel momento. A
lui piaceva così com’era e rimase a guardarla a lungo, prima
che la sua vista glielo avesse impedito per sempre.
Non poteva più restare
dov’era: presto qualcuno sarebbe venuto e non voleva farsi trovare lì.
Si decise a svegliare Oscar.
“Oscar…”
“Uhm…”
“Oscar, svegliati”
La donna si strofinò
gli occhi e si mise a sedere sul letto.
“Mi dispiace, ma devo andare
via; a momenti verrà qualcuno a portarti la colazione…”
“Ho capito… va bene”
André si alzo dal letto
e si avviò verso l’uscita. Prima di uscire tornò indietro
e si avvicinò ad Oscar; lei lo guardava con aria interrogativa chiedendosi
che cosa stesse facendo. L’uomo si sedette sul letto: non sapeva come spiegarsi.
“Ecco… volevo chiederti… Oscar:
tu… niente, non farci caso” disse alzandosi
“André, aspetta…!” gli
prese la mano “Forse… tu… André, io… sono felice adesso che tu mi
sei vicino. Io ti amo, davvero…”.
Stavolta era stata lei a leggergli
nel pensiero. Le carezzò il volto e la baciò dolcemente.
Uscì dalla stanza. Forse, forse c’era un modo per…
Parigi, Rue Saint Honoré
“Ciao Bernard”
“Oh! Ciao André! Come
mai da queste parti ? E come sta Oscar?”
“Ehm… Avrei bisogno di parlarti”
“Ne parliamo a casa mia, ti
va? Dovrebbe esserci in casa anche mia moglie…”
“Come vuoi”
Non poco lontano, in una piccola
casa di città.
“Ciao André! Come stai?
E come sta madamigella Oscar?”
“Ciao Rosalie… va… va tutto
bene…”
“Scusaci cara, ma André
doveva parlarmi: siamo dì là, nel mio ufficio…”
Entrarono in una piccola stanza
con un tavolino che fungeva da scrivania, un paio di sedie qualche quadro
e una libreria. In effetti, pensava André, era un po’ difficile
definire ‘ufficio’ un ambiente del genere, per fortuna l’estrema povertà
aveva, almeno per ora, risparmiato i coniugi Chatelet che erano riusciti
ad avere una piccola casa, comoda e confortevole.
“Che cosa volevi chiedermi,
André?”
“E’ un po’ difficile per me
parlartene… vedi, Oscar è malata: il dottore le ha diagnosticato
la tisi in stato avanzato…”. Non poté fare a meno di piangere “…
non c’è più niente da fare, Bernard!”
“Oh… André, mi dispiace
tanto… io… cosa vuoi che faccia per te?”
“Vedi, gira voce che in Francia
ci sia un medico capace di guarire la tisi con delle tecniche che ha appreso
all’estero…”
“Come… come fai a saperlo?”
Con un sorriso amaro: “Pur
essendo stato sempre a fianco dei nobili, anch’io sono uno del popolo.
Anche se di nascosto, mi tengo informato…”
“Capisco. Si André,
Cagliostro è riuscito a guarire tantissime persone da malattie come
la tisi. E’ malvisto dalla Corte per i suoi metodi, a giudicare da ciò
che dicono, troppo ‘rivoluzionari’… non so se riesci a capirmi. Purtroppo
adesso non è a Parigi, ma alcune fonti mi hanno riferito che è
partito verso nord… in Normandia credo”
“Sai come potrei rintracciarlo?”
“Purtroppo al momento non saprei
come aiutarti, ma se mi dai un paio di giorni di tempo, posso chiedere
qualche informazione”
“Ti ringrazio Bernard”
“Di nulla. Piuttosto, come
farete… si, insomma… tu e Oscar a lasciare Parigi?”
“Ancora non lo so Bernard;
ma devo farlo capisci? E’ l’unico modo che ho per salvarla”
“Certo…”
“Un’ultima cosa Bernard, ti
pregherei di non farne parola con Rosalie”
“Come vuoi” disse comprensivo.
Si congedò da Bernard
e da Rosalie. Adesso doveva tornare a casa, questo era il problema: come
doveva parlare con Oscar di quello che aveva saputo? Questo Cagliostro
era l’unica speranza per la malattia di Oscar. Se lei fosse partita insieme
a lui in Normandia, avrebbe dovuto abbandonare tutto: il suo palazzo, la
sua posizione sociale ma soprattutto i suoi genitori ai quali, pur non
dimostrandolo apertamente, era molto affezionata. Chi avrebbe potuto assicurargli
che Oscar avrebbe accettato le condizioni? Infondo c’era la possibilità
che le cure non avrebbero risolto nulla visto lo stato avanzato della sua
malattia. E poi lui non aveva il diritto di entrare così prepotentemente
– lui pensava - nella sua vita: non era passato neanche un giorno
da quando si erano rivelati e non poteva, non era giusto, decidere in questo
modo della vita di un’altra persona anche se, come in questo caso, non
c’erano altre soluzioni.
“Oscar è come
un’aquila, e le aquile non possono essere messe in gabbia (1)
”.
Oscar era una donna forte,
indipendente, e non avrebbe mai lasciato che altri decidessero per lei.
Ma in qualche modo doveva tentare, doveva pur provare a parlarle!
A palazzo Jarjayes, intanto,
Oscar era uscita un po’ in giardino. Non c’era molto caldo, quel giorno.
Una lieve brezza si spingeva dall’est portando con se i profumi dell’estate.
Nel piccolo gazebo su cui le foglie si arrampicavano lungo il colonnato,
la donna stava prendendo un po’ di the pensando a ciò che era successo
la sera prima.
“Io ti amo Oscar… ti amerò
per sempre…”
“Anch’io André… con
tutto il cuore…”
Il volto avvampò per
le emozioni causate da quei pensieri. Adesso che c’era lui al suo fianco,
avrebbe potuto affrontare qualunque pericolo, qualunque ostacolo, ma… no,
meglio non pensarci… Adesso, nonostante tutto, doveva pensare solo che
non era più sola. Sarebbe stata la cosa migliore. Alain, i suoi
soldati… chissà cosa stavano facendo? Sicuramente si erano stupiti
dalla sua assenza. Sarebbero stati comandati dal Colonnello D’Agout, un
uomo che, seppur nobile, non li disprezzava e questa era la cosa importante.
“Tutti gli uomini sono uguali”
aveva detto quel Robespierre: e aveva ragione, aveva perfettamente ragione.
Si alzò dalla sedia.
Lungo l’orizzonte si stagliava maestosa la Reggia di Versailles, luogo
stupendo, meraviglioso, ma allo stesso tempo tana delle serpi più
velenose e degli uomini più meschini. Infondo quella reggia, col
suo splendore, celava molto bene – almeno agli occhi di pochi – i complotti
e gli intrighi di mezza Francia, come del resto era successo durante il
periodo di Luigi XIV (2) nell’Affare dei Veleni.
Mentre teneva una mano davanti
la fronte per proteggersi dai raggi del sole, sentì una voce dietro
di lei:
“Ti manca Versailles, non è
così?”
“André, sei tu. No,
non è questo. Sono in pena per la Regina Maria Antonietta: chissà
come si sentirà in questo periodo di grandi cambiamenti. Spero solo
che qualunque cosa accada prenda la decisione più giusta”
“Lo spero tanto anch’io, Oscar.
Senti Oscar, dovrei parlarti”
“Si?”
André la fece sedere
accanto al tavolino. Lui si sedette accanto a lei, la prese per mano.
“Oscar…”
Fece un respiro profondo, più
per incoraggiarsi che per altro
“Oscar, sono stato da Bernard.
Mi ha detto che c’è un medico, in Normandia credo, che forse potrà
curarti. Ha guarito tantissime persone e c’è la possibilità
che possa farlo anche con te. Per questo tu… noi … dovremmo partire. In
questo modo dovresti lasciare tutto Oscar, Parigi, la tua famiglia e so
che non sarà una cosa facile per te. Io non voglio obbligarti a
fare una scelta ma ti prego, una volta tanto, pensa anche a te stessa.
Ti prego, non voglio che tu muoia”.
Le sue ultime parole: una supplica.
“André io… devo pensarci.
Io non so…”
si alzò dalla sedia
allontanandosi.
“Oscar!”
Ma già lei non lo sentiva
più.
Erano passati un paio di giorni.
A palazzo Jarjayes ‘l’atmosfera’ che regnava non era cambiata molto. Tutti,
perfino i servitori, erano molto tristi. Sia il generale che la moglie
non erano più andati a Versailles e anche Maria Antonietta era venuta
a conoscenza delle condizioni del suo ex comandante e, pur mantenendo il
segreto a Corte, cosa che le aveva chiesto la sua stessa dama di compagnia,
soffriva molto e quando raramente non era ‘sorvegliata’ da occhi indiscreti
piangeva per la sua cara amica… prima Louis Joseph… adesso anche Oscar…
Pur non volendolo doveva limitarsi a soffrire in silenzio perché
la discrezione che le avevano chiesto in proposito le impediva di agire
e comunque… c’era ben poco da poter cambiare…
Il generale Jarjayes si chiudeva
spesso nei suoi appartamenti e quando ne usciva, di rado, i suoi occhi
erano gonfi di lacrime. Le condizioni di salute di Mme de Jarjayes, già
precarie a causa del suo debole fisico, si erano aggravate per il dolore
ed era costretta a stare a letto. Nanny cercava di farsi forza: in quel
momento solo lei poteva mandare avanti il palazzo – come del resto aveva
sempre fatto – ma malgrado questo, i suoi occhi erano simili ai nuvoloni
di quella notte… carichi di pioggia… che coprivano il cielo stellato di
una notte di luglio… La natura sembrava condividere quella tristezza… le
gocce di pioggia bagnavano le foglie, illuminate dalla luce dei lampi che
subito dopo scompariva lasciando il posto ai rombi del tuono. Questo era
ciò che André vedeva dalla finestra della sua camera… In
una notte simile di venticinque anni prima, Oscar in lacrime era entrata
nella sua stanza e gli aveva chiesto di poter dormire insieme a lui con
la promessa di ritornare in camera sua non appena fosse spuntato il sole.
Malgrado una prima esitazione – era difficile pensare che una bambina che
un giorno avrebbe dovuto comandare un esercito avesse paura dei lampi –
le aveva fatto cenno di si. La piccola si era intrufolata nel suo letto
abbracciando il bambino, sempre più esterrefatto, ma con un incredibile
senso di pace e di appagamento.
Così avevano dormito
quella notte: abbracciati l’un l’altro.
Probabilmente in quel momento
era iniziato quello che con gli anni si era trasformato in amore.
Il rapporto con Oscar non era
cambiato in quei giorni: André cercava di essere allegro, di farla
divertire, per non farle pensare a niente, anche se lui ci pensava sempre
più spesso. A volte i colpi di tosse erano così forti che
indebolivano il corpo di Oscar al punto da farla scivolare, a terra. In
quei momenti André l’aiutava ad alzarsi; lei lo guardava con occhi
imploranti: ti prego… non dirmi niente… e lui rimaneva zitto, affogando
il suo dolore nel profondo dell’anima.
Il giorno seguente partì
verso Parigi.
La rugiada scendeva giù
dalle foglie formando delle piccole pozzanghere nei quali il sole coperto
da nuvole rifletteva i suoi raggi passando attraverso i rami degli alberi
lungo la strada. Senza neanche accorgersene, condusse macchinalmente Artaq
in Rue Saint Honoré.
Gli aprì la porta Rosalie
con uno sguardo molto triste. Probabilmente Bernard si era confidato con
lei. La donna lo condusse dal marito. Quando André entrò
nella camera, vide il suo amico insieme a due giovani dall’aspetto dei
quali André riconobbe due Guasconi orgogliosi e intrepidi, ma anche
gentili (3).
“Noi andiamo Bernard” disse
uno dei due
“Va bene. Luc, Jerome, vi ringrazio
per le informazioni che mi avete dato”
“Figurati Bernard, per gli
amici questo ed altro (4)
”
I due, uscendo, salutarono
con un piccolo cenno André che intanto era rimasto indietro, vicino
la porta, ad ascoltare la fine di quella conversazione. Quando Luc e Jerome
uscirono, Bernard si alzò dalla sedia e si avvicinò all’amico.
Fine 2° parte
(1)
Questo pensiero mi è venuto dopo aver riletto il nono volumetto
dei “Cavalieri dello Zodiaco”. Pensavo a Castalia in quel momento.
(2)
“Il Re Sole” di Guido Gerosa. Parte quarta: “L’APOTEOSI”. Capitolo XXIII:
“L’Affare dei Veleni”.
(3) Impossibile per me non fare questo
riferimento allo splendido romanzo “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas
che in questi giorni ho appena finito di leggere.
(4) Una frase che dico spesso
io.
Cetty